Ave Maria!

(Matteo 13,1-17)
 
Festa per San Leolino della Beata Vergine Maria del Monte Carmelo
 
In ricordo della sua protezione durante la fine della guerra (1944-45)
 

 
Ave Maria!
 
Gesù uscì di casa e si sedette in riva al mare”. E’ molto suggestiva questa immagine di Gesù che il Vangelo di oggi ci consegna, quasi di sfuggita: è un momento, infatti, di pausa e di silenzio per Lui che ha faticato molto, pensiamo fino a poco tempo fa, per annunciare il Regno di Dio. Forse anche un momento di una sua riflessione personale, ma che ci pone di fronte alla sua umanità divina che ha bisogno di silenzio e di meditazione, come tutti noi, in certi momenti della nostra vita. In realtà, questo momento di pausa e di raccoglimento, dinanzi alla vastità e bellezza del mare di Tiberiade, durerà poco, perché: “si radunò attorno a lui tanta folla che egli salì su una barca e si mise a sedere, mentre tutta la folla stava sulla spiaggia”. Quella folla di gente voleva ascoltare ancora Gesù, - sembra volerci dire l’Evangelista -, ed anzi non si stancava mai di ascoltarlo. E Gesù parla, infatti, ma per dire qualcosa che tocca gli interrogativi profondi che suscita il suo messaggio. Anche il cuore dell’Evangelista è in ascolto e vuole comunicarci quanto lui stesso ha ascoltato da Gesù!
 
In verità, Gesù ha piena consapevolezza, in quel momento, che non era stato facile, nemmeno per lui, portare avanti il suo progetto di annunciare il Regno di Dio. Anche lui si era imbattuto, in effetti, nella critica e nel rifiuto: la sua stessa parola di vita, avrà anche pensato, non aveva l’accoglienza sperata. E certo, tra i suoi discepoli più intimi, sarà cominciato a nascere lo scoraggiamento e la sfiducia: valeva la pena continuare a operare insieme a Gesù? Tutto questo parlare e annunciare non era forse nient’altro che un sogno, una sorta di impossibile utopia? Così, di fronte a questo larvato e segreto scoraggiamento, Gesù dice loro quello che pensava. Racconta loro la parabola del seminatore, per mostrare ai suoi discepoli il realismo con cui operava e la fede irremovibile che lo animava: indubbiamente, nonostante gli sforzi, c’è quel lavoro infruttuoso che sembra perdersi nel nulla, ma il progetto finale di Dio non fallirà. Bisogna continuare a seminare, perché alla fine il raccolto sarà abbondante. E la gente che ascoltava Gesù capiva bene che stava parlando di sé stesso. Seminava, infatti, la sua parola e i suoi gesti di bontà e di misericordia ovunque scorgeva un seme di speranza e che potesse, alla fine, germogliare e crescere, al di là di tutti i fallimenti momentanei. Seminava dovunque, anche tra le persone lontane e perfino ostili ad ogni discorso su Dio. Gesù era questo, un seminatore instancabile e premuroso!
 
Ma s’identificava, allo stesso tempo, con il realismo e la fiducia di un agricoltore della Galilea che doveva lottare, in quella terra tanto disuguale e talvolta molto arida, con molta semente perduta, ma non per questo smetteva di seminare. Tutti gli agricoltori della Galilea sapevano, infatti, che, dopo tutto, quello che importava era la “raccolta” finale e questo giustificava l’immane fatica. Qualcosa di simile, sembra dire Gesù, avviene con il Regno di Dio: non mancano e non mancheranno ostacoli e resistenze, ma la forza di Dio darà il suo frutto. Sarebbe assurdo smettere di seminare! E tuttavia, Gesù insinua dolcemente qualcos’altro: nella sua Chiesa non c’è bisogno di mietitori. Il compito dei suoi discepoli e discepole, nel disegno di Dio, non è quello di “mietere” successi e soddisfazioni, conquistare la strada, dominare la società, riempire di gente le chiese, imporre a tutti i costi la nostra fede religiosa. Quello di cui ha bisogno il mondo, di ieri e di oggi, è che ci siano fedeli discepoli e discepole di Gesù che, dove passano, seminano parole di speranza e gesti di compassione e amore.
 
E’ qui la “conversione” che oggi dobbiamo promuovere in mezzo a noi: passare dall’ossessione di “raccogliere” alla dolce pazienza del “seminare” con il cuore rivolto a Dio e non già a noi stessi. Gesù ci ha lasciato in eredità la parabola del “seminatore”, non quella del “raccoglitore” (J. Antonio Pagola, Gesù. Un approccio storico).
 
Insomma, non dobbiamo perdere la fiducia a causa della constatazione, anche realistica, dell’apparente impotenza del Regno di Dio. Perché anche oggi, in questo nostro mondo segnato violentemente dalla rottura con il passato, la tradizione, sembra proprio che la “causa di Dio” sia in decadenza, il Vangelo stesso qualcosa di insignificante e senza futuro. Ma è un terribile errore poiché non ci rediamo conto che tutto è nelle mani di Dio, non già nei nostri calcoli matematici o nelle nostre statistiche. No, non è così. Il Vangelo di Gesù non è una morale sociale, né una politica, e neanche una religione con un futuro più o meno lungo. Il Vangelo è piuttosto la salvezza di Dio “seminata” da Gesù nel cuore del mondo e della vita degli uomini. E anche se i cristiani, paradossalmente, restassero due o tre, là c’è sempre Gesù in mezzo a loro, Gesù il seminatore, che ha molte più risorse di noi per portare gli uomini e le donne a incontrare il volto misericordioso di Dio. A noi è chiesto, invece, di seminare con “creatività” e slancio di creatività, senza paura dei risultati, senza lasciarci ossessionare dal “mercato” che vuole “programmazioni” e conseguente “profitto”, senza ascoltare la voce del “mondo” che corre dietro alla propaganda di chi ha il “potere” in quel momento.
 
Sì, Gesù ci chiede di essere “creativi”, ma umili e fiduciosi come bambini che aspettano tutto dal Padre! Non dai loro sforzi e risultati di efficienza. E mi viene in mente la “creatività” sviluppata dalla Chiesa, nei primi secoli, per rispondere con audacia alle nuove circostanze che si andavano affrontando con il tramonto del mondo antico. Impressiona, ad esempio, il coraggio della Chiesa ( e dei Padri della Chiesa, sant’Agostino, san Giovanni Crisostomo, san Gregorio di Nissa, ecc.) nell’abbandonare il contesto religioso e culturale del mondo giudaico per radicarsi, invece, nella cultura greca e latina. E noi cristiani di oggi, non abbiamo anche noi forse un diritto alla creatività simile a quello dei cristiani di altre epoche? Di fatto, la parabola del seminatore continua a interpellare tutti: quali frutti potrebbe oggi produrre la parola di Gesù, ma accolta con grande fede nei nostri cuori? Non basta, dopo tutto, leggere o predicare sulle parabole di Gesù: se il nostro cuore non si apre verso Gesù, noi non ne capiamo nulla e soprattutto non siamo in grado di percepirne mai la forza di “trasformazione” per la nostra vita.
 
E se Gesù non fa distinzioni di persona nell’ambito dell’annuncio del Vangelo che è donato a tutti, però Dio fa “conoscere i misteri del Regno” a coloro che sono “discepoli” o “discepole” di Gesù, e ne seguono i passi. Agli altri no. Sono i discepoli o le discepole ad averne la chiave per comprendere e valorizzare le parabole.
E tutto questo ci riporta alla Beata Vergine Maria, la prima discepola di Gesù, come ci ha rivelato lo Spirito Santo nel mistero dell’Annunciazione e poi ai piedi della Croce, quando Gesù stesso le ha affidato la Chiesa e l’umanità intera. Essendo, inoltre, assunta in cielo in anima e corpo, la Santa Vergine è l’unica che può dirci, nel segreto del cuore, parole di verità sulla nostra esistenza e anche sulla vita eterna. Lei semplice creatura, ma che vive la dimensione soprannaturale. Pensando, allora, alla parabola del seminatore, sembra opportuno domandarci: in che modo possiamo sentire la sua protezione materna in questo nostro tempo di crisi, per poter continuare a camminare con fiducia nella fede?
Oggi, infatti, nella nostra parrocchia di San Leolino, celebriamo anche la festa della Beata Vergine Maria del Monte Carmelo per poter consentire a tutti di ringraziarla per la protezione accordata, durante la seconda guerra mondiale, alla popolazione di questa contrada del Chianti. Sappiamo tutti cosa è accaduto in quei giorni drammatici e durante la ritirata dell’esercito tedesco: il parroco della nostra Pieve, angosciato di quello che sentiva dire circa questa ritirata dei tedeschi, - rappresaglie, fucilazione di inermi persone, ruberie di ogni genere, in luoghi vicini -, pensò di mettere la statua della Madonna del Carmelo, che si trovava nella cappella del SS. Sacramento, al centro della nostra chiesa. In effetti, nascondeva molte persone nelle cantine di San Leolino: uomini, donne, bambini. I tedeschi passarono anche da qui, ma vedendo questa statua della Madonna, non osarono entrare in chiesa, e fu la salvezza per quella povera gente. E’ una storia che abbiamo sentito raccontare, - al nostro arrivo a San Leolino (1° novembre 1997) -, dalle persone anziane di San Leolino e che oggi sono nella Casa del Padre. Ma poi abbiamo trovato le lettere dei parroci del Chianti, indirizzate al Vescovo di Fiesole, che confermavano le vicende drammatiche di quei giorni (e le abbiamo anche pubblicate in un piccolo libretto di qualche anno fa).
 
Il ruolo fondamentale di Maria è dunque quello di esercitare in tutti i modi questa maternità, come farebbe qualsiasi madre che conosce i pericoli che gravano sui propri figli. Ed è questo che Maria ha fatto in quei giorni drammatici. Una Madre è disposta a tutto, in effetti, e la Vergine Santa è disposta a tutto per ogni credente, più o meno in pericolo. Così, all’inizio di marzo, quando è cominciata la pandemia del coronavirus, anche noi abbiamo messo la statua della Vergine del Carmelo, - che veneriamo nella cappella del SS. Sacramento e che ogni giorno invochiamo -, al centro della nostra chiesa di San Leolino. E vi rimarrà per tutto il tempo che, purtroppo, durerà questo invisibile e insidioso nemico.
Tutto questo può essere per noi molto bello e consolante, certamente, ma non basta: Maria non è solo una dispensatrice della misericordia di Dio, è piuttosto la prima discepola di Gesù, la Vergine dell’ascolto della Parola del Signore, e come tale i primi nostri Padri l’hanno accolta e venerata sul Monte Carmelo dove esisteva, in quel XIII secolo, una piccola cappella a lei dedicata (il Monte Carmelo, in Palestina, guarda ai suoi piedi Nazareth, la casa dell’Incarnazione di Gesù!). Noi tutti portiamo il Santo Scapolare, quale segno della sua speciale protezione verso di noi. Ma lo Scapolare non è un segno magico, è un segno della Vergine santa, della sua e della nostra fedeltà, all’insegnamento e all’esempio di Gesù. E’ un segno che vuole dirci, nell’umiltà della preghiera e dei nostri giorni terreni, che Maria non è una “opzione” facoltativa all’interno della nostra vita di credenti.
Al contrario, come spiegava bene San Luigi Grignion de Montfort, – che per questo meriterebbe davvero il titolo di Dottore della Chiesa -, il rapporto con Maria è un rapporto di preferenzialità che avvantaggia la nostra santificazione ed è una strada attraverso la quale si realizza in bene la nostra “vocazione” di cristiani. Fare a meno di Maria, - come ha scritto qualcuno -, si può, ma a costi davvero altissimi! (Luigi Maria Epicopo). E’ esattamente quello che potrebbe capitare ad un bambino o ad una bambina che pensasse, disgraziatamente, di poter fare a meno di un madre: è possibile, ma rischiosissimo, perché una madre umanizza la vita! E senza la nostra umanità, non possiamo adeguatamente comprendere l’umanità di Dio in Gesù. Ed è anche vero, purtroppo, che, senza Maria, il Vangelo può diventare alla lunga qualcosa di opprimente e di esigente che potrebbe scoraggiarci dal proseguire il cammino e, dunque, quasi impotente di lasciarci vedere, fino in fondo, il suo potenziale di salvezza.
 
Per questa ragione, in conclusione, Maria è l’immagine più importante e più preziosa della Chiesa. E se la comunità dei credenti vuole essere fedele al Vangelo e al suo annuncio, non può fare a meno di Maria. Perché? – potrebbe obiettare qualcuno. Perché il pericolo maggiore che corriamo, lungo la nostra vita, è quello di finire per vivere con il “cuore insensibile”, arido e pietroso come un deserto, verso Gesù, il Padre, lo Spirito Santo. Diventiamo così come coloro che non fanno il passo e vivono, tutto sommato e con un cuore simile, senza scegliere mai Gesù. Non ne comprendono il messaggio e finiscono con il perdere quel poco che ascoltano da Lui. Maria, invece, con la sua protezione, la sua intercessione, la sua totale fedeltà a Gesù, dunque con la suacustodia, umanizza la nostra fede, il nostro amore, la nostra speranza verso Dio. Non dimentichiamolo mai, e mentre oggi preghiamo la Santa Vergine del Monte Carmelo: “non abbandonarci mai, Madre Santa, perché siamo piccoli e poveri, proprio in quella fede che tu hai cantato nel tuo splendido e intramontabile Magnificat!”. Amen.

 
don Carmelo Mezzasalma
San Leolino, 12 luglio 2020
 

 

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